LA FEDE DELL'ALBANIA TRA STORIA E SOCIETÀ
PREFAZIONE
Spiega un
noto scrittore italiano, Marcello Veneziani, che “il significato etimologico
della parola religione è legame: un legame non solo con il trascendente, ma
anche con gli altri, cioè una comunità improntata all’amor di Dio o al timor di
Dio, a seconda dei punti di vista. C’è un nesso strettissimo fra la fede in Dio
e la convinzione di avere un comune destino con gli altri uomini. Tutto questo
fa parte di una tradizione, di una civiltà.”
E la civiltà
del popolo albanese sembra aver appreso a pieno questa giusta e chiara
spiegazione sul senso religioso aggiungendo ad esso un elemento che lo nobilita
e lo completa: la tolleranza.
Già, perché
lo spiccato senso di tolleranza religiosa è la specifica caratteristica della
nazione albanese. Originata dalla secolare convivenza di fedi diverse,
cristiani cattolici ed ortodossi, musulmani e bektashi, hanno dato vita lungo i
secoli ad uno straordinario esempio di coabitazione e di rispetto reciproco,
fenomeno senza pari nel continente europeo. Mai i conflitti religiosi sono
stati causa di divisioni interne.
È anche vero
però che nell’arco della loro storia movimentata gli albanesi sono passati
facilmente da una religione all’altra a seconda degli interessi del momento
storico. Molto nota poi l’espressione coniata nel XIX secolo da Pashko Vasa:
“Feja e shqiptarit eshte shqiptaria”, “La fede dell’albanese è l’albanesità”.
Ma
procediamo con calma, osservando dal punto di vista storico, cosa o chi ha
contribuito a dare a questa nazione il bel primato di “paese della tolleranza
religiosa”.
GLI ILLIRI
Siamo nel I
millennio a. C.. La regione albanese è abitata dagli Illiri, un popolo indoeuropeo pagano che
praticava il culto del Sole e del Serpente. Anche se la
storia ci ha raccontato poco di questo popolo, riguardo alle loro divinità sono
rimaste delle leggende nel folklore albanese, tra cui la storia di uomini giganti e forti,
di ragazze belle che rubano il cuore degli eroi, di draghi con sette teste, di fanciulle che danzano di notte vicino ai laghi e
rapiscono bambini, di demoni e streghe. Le loro feste erano legate alla natura;
in particolare si svolgevano durante il cambio delle stagioni, in
corrispondenza dei solstizi e degli equinozi. Il 14 marzo era il giorno
dedicato al Sole, visto che questo era il giorno che segnava l'inizio della primavera
presso le tribù illiriche.
Sono passati
tanti millenni da allora eppure ciascuna tradizione religiosa conserva
tutt’oggi elementi di mitologia politeista. I cattolici delle regioni
settentrionali, ad esempio, ricordano il “giorno del ceppo”, tradizione
risalente al culto del fuoco, festeggiato il giorno di Natale. Il giorno della
festa della Madre di Dio, che i musulmani celebrano il 23 agosto, coincide con
quello della Fata, personaggio mitologico assimilabile alla dea greca Diana. I
bektashi professano il culto di Baba Tomorr (Padre Tomorr, montagna
dell’Albania centrale) al quale un poeta cristiano ha dedicato un suo libro.
Infine, ancora oggi non è raro trovare tra la popolazione, seguaci del culto
della natura, come chi festeggia il giorno del monte, chi considera il serpente
e la capra divinità protettrici e chi pratica il culto della pietra, dell’acqua,
del pane, della strada, dell’ospite, della terra e del cielo.
IL CRISTIANESIMO
La
diffusione del Cristianesimo delle
regioni albanesi ebbe un’impronta apostolica durante il I secolo d.C.. San Paolo stesso scrisse di aver predicato anche nelle province romane dell'Illiria. Le Sacre Scritture narrano di una sua visita a Durazzo: l'apostolo conobbe l'Albania grazie ai suoi viaggi via terra
dalla Giudea a Roma, durante i quali ci si imbarcava a
Durazzo per raggiungere la penisola Italiana.
La tradizione attesta inoltre che molti missionari giunsero
probabilmente percorrendo la via Egnatia. Con maggiore certezza documenti
provano che già nel 58 a Durazzo vi erano sessanta famiglie cristiane e che nel
70 era vescovo Cesare. Il suo successore, sant’Asti, fu condannato a morte dal
prefetto Agricola intorno all’anno 100 sotto il regno dell’imperatore Traiano.
All’inizio del IV secolo, quando la nuova religione fu ufficialmente
riconosciuta da Costantino il Grande, nuclei di comunità cristiane esistevano a
Durazzo, Butrinto, Onhezmi (Saranda), Jerikoja, Valona, Apollonia, Amantia, Bylis
(Ballsh), Antipatrea (Berat), Skampis (Ebasan), Scodra (Scutari), Albanopolis,
Saranda e Lyhnidi (Ocrida). In alcune di queste località sono stati ritrovati
all’interno di edifici religiosi mosaici raffiguranti simboli paleocristiani
(croce, pesce, cuore). A Butrinto, a Bylis, ad Antigone e a Tepe presso Elbasan
furono invece edificate imponenti basiliche a forma rettangolare con pavimenti
talvolta impreziositi da mosaici e caratterizzate esternamente da colonnati che
fungevano da atrio della chiesa.
IL MEDIOEVO E LO SCISMA
D’ORIENTE
In seguito
alla divisione dell'Impero Romano in Impero d'Oriente e d'Occidente nel 395, il
territorio oggi noto come Albania venne posto sotto la giurisdizione
dall'Impero Romano d'Oriente, ma in termini ecclesiastici rimase dipendente da
Roma. Solo nel 732 l'imperatore bizantino,
Leone l'Isaurico, assoggettò l'area al patriarcato di Costantinopoli. Per
secoli l'Albania divenne arena di lotte ecclesiastiche fra Roma e
Costantinopoli.
Chiesa ortodossa a Pogradec
Nel 1054,
con lo scisma d'Oriente, anche nella regione si riprodusse la divisione tra
cattolici e ortodossi di rito bizantino. Molti degli albanesi gheghi che
vivevano a nord del fiume Shkumbini (area comprendente l'odierna
Durazzo-Apollonia-Elbasan fino a Coriza e l'area di Scutari, la pianura
compresa fra il Mare Adriatico e il lago di Scutari) rimasero fedeli alla
chiesa romana, mentre gli albanesi toschi che vivevano fra le regioni montuose
del sud-est e le regioni sudoccidentali a sud del fiume Shkumbini aderirono
alla Chiesa Ortodossa di rito Bizantino.
Fu
soprattutto dopo il XIII secolo, nel periodo dell'Impero latino (1204-1474) che
il Cattolicesimo si affermò nell'Albania settentrionale, dove ancora oggi è
concentrato in prevalenza.
CHIESA CATTOLICA E CHIESA ORTODOSSA
Al fine di inculturarsi nelle
tradizioni locali la Chiesa, in particolare quella cattolica, non disprezzò la
conoscenza del Kanun di Leke Dukagjini (il più importante codice
consuetudinario albanese), tentando di conciliare – non sempre con successo –
l’annuncio evangelico e le nozioni d’onore, ospitalità e la parola data.
Solitamente dal clero venne favorito l’uso della lingua locale che cominciò ad
essere ufficialmente utilizzata a partire dal 1861 nel seminario francescano di
Scutari, importante istituzione religiosa. Il lavoro dei francescani, la cui
presenza in Albania viene fatta risalire al XIII secolo, fu sempre radicato
nella cultura del luogo e la figura del padre Gjiergj Fishta (1871-1940), ritenuta il poeta nazionale, ben ne
rappresenta lo spirito. Da parte loro i padri gesuiti, giunti nel Paese nel
1841, non furono da meno nel giocar un ruolo di promozione intellettuale
palesato nella rivista Leka,
periodico ricco di contenuti patriottici. Nonostante i sempre vivi contrasti
tra le due congregazioni gli sforzi furono comuni per assicurare alla chiesa
albanese l’appoggio delle Potenze, prima fra tutte l’Austria-Ungheria,
protettrice degli interessi cattolici presso la Sublime Porta.
Anche la
Chiesa ortodossa, approfittando di un tempo di rinnovamento culturale,
contribuì allo sviluppo culturale del Paese. In particolare a Voskopoja presso
Corcia, furono aperte nel 1744 alcune importanti scuole di impronta
illuminista. Tra queste ricordiamo la Nuova
Accademia, centro costituito con il contributo di teologi greci, valacchi
ed albanesi presso cui vennero stampati libri di carattere laico e la Bibbia in
albanese. L’influenza esercitata dalla Chiesa ortodossa-greca sulla popolazione
albanese rimase sempre molto forte fino all’inizio del XX secolo quando gli
ortodossi locali iniziarono a lavorare per la nascita di una chiesa autocefala
ottenuta dopo alterne vicende solo nel 1937 quando l’arcivescovo Kristofor Kisi
ricevette il decreto Tomos con il
quale il Patriarcato riconosceva ufficialmente l’autocefalia della nuova chiesa
sancendone l’indipendenza dalla sede ecumenica
PERIODO OTTOMANO (1478-1912)
Per lunghi secoli il Papa e il
Patriarca si scontrarono allo scopo di imporre la rispettiva egemonia sulla
regione fino a che sulla scena apparvero gli ottomani che si impadronirono di
Ocrida (1408) e poi di Costantinopoli (1453) il cui Patriarca, Giorgio
Scolarios, fu costretto a riconoscere l’autorità del sultano Mehmet II. In
cambio i conquistatori si impegnarono a proteggere le chiese ed a rispettare i
riti cristiani. Alla fine del XV secolo le uniche terre cristiane balcaniche
non ancora sottomesse erano quelle abitate dagli albanesi. Giorgio Castriota Scanderbeg, il difensore e l’atleta del
cristianesimo, respinse per venticinque anni gli eserciti ottomani suscitando
con le sue gesta le speranze che a questi fossero impedite ulteriori conquiste.
In seguito alla sua definitiva sconfitta (1468) il dominio del sultano divenne
assoluto sebbene esso si manifestasse, almeno durante i primi secoli,
generalmente in modo tollerante. Nonostante ciò una parte della popolazione
albanese scelse di convertirsi alla nuova religione.
In molti casi si trattò un’operazione di
facciata poiché i neoconvertiti, pur assumendo nomi musulmani continuavano di
fatto a praticare il culto cristiano. Tuttavia, bisogna ricordare inoltre che l'autorità turca
spingeva alla conversione sia con una forte tassazione sulle proprietà delle
famiglie albanesi non musulmane, sia con la minaccia di arruolare i loro figli
nelle campagne militari. In molti dunque accettarono una conversione quasi
imposta. Per quanto riguarda la Chiesa ortodossa albanese, durante questo periodo
essa fu soggetta al Patriarcato di Costantinopoli; tutte le funzioni religiose
e le attività culturali di questa comunità religiosa si svolgevano in greco.
Inoltre, per sfuggire all'islamizzazione e conservare la loro identità
religiosa, alcuni preferirono diventare cripto-cristiani. Ovvero, essi usavano
nomi musulmani e si comportavano, nella loro vita sociale, come tali. Tuttavia,
segretamente in famiglia mantenevano le tradizioni ortodosse. Tale fenomeno
durò dalla fine del Seicento al tardo Ottocento.
L’ISLAM SUNNITA E I BEKTASHI
Nonostante l’Islam conobbe
dapprincipio una diffusione superficiale, tra il XVIII e il XIX secolo diede
comunque vita ad uno sviluppo religioso e culturale. Attraverso l’uso
dell’alfabeto arabo si sviluppò la produzione di un genere letterario
conosciuto con il nome di letteratura bejte
(poesia burlesca costituita da strofe di due versi) rapportabile alla
letteratura alhamiada, sorta in
Spagna al tempo del califfato. La diffusione della fede islamica tardiva può
essere spiegata anche con la necessità degli albesi di differenziarsi nel
Kosovo dagli slavi e dai greci nell’Epiro-Çameria poiché questi popoli
perseguirono, soprattutto dall’inizio del XIX secolo, ripetuti tentativi di
assimilazione della nazione albanese. In seguito all’indipendenza del 1912 ed
ai mutamenti politici provocati dalla prima guerra mondiale i musulmani sunniti
costituirono nel 1921 l’associazione Allenza
nazionale musulmana che due anni dopo si emancipò definitivamente dal
califfato di Istanbul eleggendo il Mufti di Tirana a presidente del nuovo
organismo. L’Islam albanese fu allora percorso da una vena di riformismo
manifestatosi con concrete misure tra cui il divieto di praticare la poligamia
e la pubblicazione di traduzioni del Corano in albanese, la parità dei sessi
nella vita civile, la proibizione ufficiale dell’uso del velo per le donne,
l’uso della lingua albanese nelle moschee e nelle scuole coraniche, le medrese, il cui numero fu sensibilmente
ridotto mantenendo solo quelle più importanti.
Un dervish bektashi davanti una tece
Ma oltra ai
musulmani sunniti, in Albania è presente una minoranza ritenuta eterodossa,
appartenente alla setta bektashi.
L’origine di questa setta va fatta risalire ad Haxhi (titolo musulmano attribuito ai fedeli recatisi in
pellegrinaggio alla Mecca) Bektashi, il quale rielaborò una dottrina mistica
proveniente dalla Persia e diffusa dai turcomanni in alcune zone del mar Caspio
durante il XI e il XII secolo. I bektashi riconoscono sia Maometto che il
quarto califfo Alì, genero e successore del Profeta, nonché fondatore della
comunità sciita, l’altra grande confessione islamica. Essi predicano
l’uguaglianza tra uomo e donna e acconsentono all’uso di alcol, princìpi condannati
dalla fede musulmana. Caratterizzato da una grande tolleranza religiosa, il
bektashismo possiede alcuni elementi religiosi comuni anche con il
cristianesimo. Nel passato la sua importanza fu considerevole dal momento che
ad esso aderiva la quasi totalità dei giannizzeri, la guardia del sultano di
origine cristiana. Per le posizioni tolleranti e per il ruolo patriottico avuto
da molti suoi seguaci tanti, fra cui il poeta nazionale Naim Frasheri, hanno ritenuto che essa fosse la religione più
confacente allo spirito del popolo albanese. Quando Mustafa Kemal Ataturk avviò nel 1995 in Turchia profonde riforme
con l’intenzione di dare vita ad uno stato moderno e laico, i bektashi scelsero
l’Albania quale sede del Centro Mondiale
della Congregazione dei Bektashi.
LA CHIESA EVANGELICA PROTESTANTE
La Chiesa
Evangelica Protestante iniziò a diffondersi in Albania nel 1873. Tra i suoi
primi membri vi era Gjierasim Qiriazi che aveva compiuto gli studi di teologia
in Bulgaria e nel 1883 era rientarto nel suo paese stabilendosi a Corcia.
Presso la scuola aperta due anni addietro nella città a partire dal 1890 iniziò
a predicare il Vangelo con lo scopo di contribuire al risveglio morale e
politico della nazione. Ancora a Corcia insieme a sua sorella Sevastia l’anno
seguente istituì una scuola per ragazze, iniziativa duramente osteggiata dal
governo ottomano e dal patriarcato di Costantinopoli a causa dell’insegnamento
in lingua albanese che vi si praticava. Da ultimo, alla fine del 1892 Qiriazi
fondò la comunità della Fraternità
Evangelica, editrice della rivista Lettera
della Fraternità, a cui aderirono noti personaggi locali.
IL REGNO D’ALBANIA
Al momento
dell'indipendenza nel 1912, la lunga occupazione ottomana aveva reso la nazione
un Paese a prevalenza musulmana (intorno al 70%), l'unico Stato islamico in
Europa. Durante il Regno d'Albania (1928-1939), la religione fu sottoposta al
controllo dello Stato. La Costituzione del 1928, all'articolo 5 afferma che
"non c'è alcuna religione ufficiale.
Tutte le religioni e le fedi sono rispettate; la libertà di culto e il libero
esercizio della sua pratica esteriore sono garantiti"
Statistiche
risalenti agli anni trenta indicano una popolazione circa al 70% musulmana
(sunnita e bektashita), con un 20% di ortodossi e un 10% di cattolici.
In questo
periodo tra l'indipendenza e l'avvento del comunismo, la classe dirigente
albanese era musulmana, ma essa non interferì con la libertà religiosa del
Paese.
LA REPUBBLICA POPOLARE D’ALBANIA
Dopo la
Seconda guerra mondiale, il controllo del Paese cadde nelle mani del governo
comunista, che combatté duramente le varie comunità religiose. La chiesa
cattolica fu particolarmente presa di
mira. La Riforma Agraria del 1945 nazionalizzò la maggior parte delle
proprietà degli istituti religiosi; molti religiosi e fedeli furono processati,
torturati e giustiziati. L'11 gennaio 1946 l'Atto di Proclamazione della Repubblica
popolare albanese sanciva la separazione fra Stato a Chiesa. Sempre nello
stesso anno, preti, frati e suore cattolici di nazionalità straniera furono
espulsi.
Questo era solo l'inizio della guerra
alla religione voluta da Enver Hoxha.
Nel gennaio 1949, quasi tre anni dopo l'adozione della prima Costituzione
comunista che garantiva la libertà di culto, una legge stabilì che le comunità
religiose dovessero ricevere l'approvazione dello Stato, che dovessero essere
conformi alle leggi dello Stato e ad i buoni costumi e che tutte le nomine e i
regolamenti dovessero essere sottoposte all'approvazione dello Stato; persino
le lettere pastorali e le omelie. Alle istituzioni religiose fu proibito di
occuparsi dell'istruzione, di opere filantropiche e degli ospedali.
Nel 1967
l'Albania si dichiarò il primo Stato ateo al mondo e tale affermazione fu
riportata nella Costituzione del 1976. Infatti, nell'articolo riguardante la
religione si leggeva: "Lo Stato non
riconosce alcuna religione e appoggia e svolge la propaganda ateista al fine di
radicare negli uomini la concezione materialistico-scientifica del mondo".
Inoltre, il codice penale del 1977 stabilì pene dai 3 ai 10 anni per
"propaganda religiosa e produzione, distribuzione e conservazione di letteratura
religiosa".
Molte chiese
e moschee furono rase al suolo, altre invece furono chiuse o divennero
proprietà dello Stato, che le destinò ad usi civili, come centri culturali o
persino magazzini industriali. Inoltre, le nuove generazioni furono educate
nell'ateismo. Infine, furono cambiati i nomi delle città e dei luoghi legati in
qualche modo alla religione ed anche i nomi di albanesi cristiani che non erano
conformi agli "standard politici, ideologici o morali dello Stato".
Dopo la
presa del potere nel 1944, il regime comunista non compì alcun censimento
sull'affiliazione religiosa della popolazione. Una stima effettuata alla fine
della Seconda guerra mondiale registra, su una popolazione all'epoca di
1.180.500 persone, 826.000 musulmani (70%), 212.500 ortodossi (18%) e 142.000
cattolici (12%). I musulmani erano divisi in Sunniti (600.000) e Bektashi
(226.000).
Solo negli anni ottanta, la dura
campagna antireligiosa si allentò. Il successore di Hoxha, Ramiz Alia, adottò
una posizione relativamente più tollerante e definì la religione una
"questione privata e familiare". Nel 1988 fu permesso ai religiosi
emigrati di tornare in Albania e di officiare le funzioni religiose.
Come ultimo
atto, nel dicembre 1990 la libertà di culto fu ufficialmente ripristinata.
Carcere
comunista a Scutari
LA
RELIGIONE DOPO LA CADUTA DEL COMUNISMO
Essendo
ormai prossimo il crollo del sistema comunista il 4 novembre 1990 il sacerdote
cattolico don Simon Jubani celebrò una messa nella cappella del cimitero di
Scutari alla presenza di moltissimi fedeli. Nello stesso giorno, sempre a
Scutari, i musulmani poterono pregare per la prima volta dopo molti anni nella
moschea dei Piombi.
Quando nel gennaio 1991, dopo circa
cinquanta anni, fu permesso al clero straniero di ogni religione di recarsi
nuovamente in Albania, essa divenne la meta di molti missionari e gruppi venuti
da Stati Uniti, Italia, Regno Unito, Arabia Saudita. Oltre ai pionieri Baha'i, diversi missionari cattolici,
ortodossi, protestanti (Evangelici e Battisti in particolare) e islamici, giunsero nel Paese
balcanico anche alcune sette religiose, tra cui i Mormoni, gli Avventisti del Settimo giorno, i Testimoni di Geova, ecc. Molti
albanesi, precedentemente atei o agnostici, si convertirono ad una delle numerose confessioni
religiose.
Ricostruite
le strutture ecclesiali, significative furono le visite nell’aprile del 1993 di
Papa Giovanni Paolo II e nel novembre del 1999 del Patriarca Ecumenico
Bartolomeo I.
La figura
di Madre Teresa, (Anjeza Gonxhe Bojaxhiu) è
importantissima agli occhi del popolo albanese. Infatti, albanese della
diaspora, di lontana origine scutarina, religiosa e beata, di fede cattolica,
fondò la congregazione delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro tra le
vittime della povertà di Calcutta l’ha resa una delle persone più famose al
mondo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 ottobre 2003 è
stata proclamata beata da Giovanni Paolo II.
La
Costituzione del 1998, all'articolo 10, afferma la laicità
dello Stato e sancisce l'uguaglianza dei vari culti. Inoltre l'articolo 3 pone
la coesistenza religiosa tra i principi fondanti dello Stato.
LA RELIGIONE IN ALBANIA OGGIGIORNO
Nel 2011,
in Albania, il nuovo censimento ha fornito dati più attuali sulle identità
religiose del paese. Le nuove cifre sono state raccontate in un'intervista da
Cecilie Endresen, una
studiosa di Storia delle Religioni e dei Balcani. La sua tesi di dottorato “Is the Albanian’s religion really
«Albanianism»? Religion and nation according to Muslim and Christian leaders in
Albania”, è stata pubblicata da Harrassowitz nel 2013.
Scrive la Endresen che nel censimento 2011 si assiste a cambiamenti
radicali delle cifre ufficiali precedenti in tema di appartenenza religiosa
infatti il 57,12% si dichiara musulmano, il 2,52% bektashi, il 10,11% cattolico,
il 6,8% ortodosso e lo 0,11% cristiano evangelico (nel 2001 il 70% si dichiarava musulmano, il
20% ortodosso e il 10% cattolico). Queste trasformazioni sono avvenute a causa di mutamenti demografici,
emigrazione e tassi di natalità più alti in alcune regioni.
Sorprendentemente
l'Albania ha meno persone che affermano di non credere in Dio che molti altri
Stati in Europa. Ci saremmo aspettati un numero molto maggiore di atei, data la
storia di ateismo forzato legato al periodo comunista, ma forse il risultato è
proprio una reazione a questo. In ogni caso viene sfatata una delle principali
argomentazioni di un certo nazionalismo, che vorrebbe gli albanesi atei e
indifferenti alle diverse appartenenze religiose. Il dato sull'ateismo era tra
l'altro già emerso anche in altre rilevazioni del Balkan Monitor Gallup e dello
stesso istituto IPSOS.
CONCLUSIONI
Il
rapporto degli albanesi con l'appartenenza religiosa
Innanzitutto
vi è una specie di molto radicata paranoia nazionale sul fatto che la religione
possa diventare un fattore di divisione. Ma questa paura sembra smentita nella
pratica: da un punto di vista sociale la maggior parte degli albanesi sembra
piuttosto rilassato e cosmopolita in merito all'appartenenza religiosa: gli
albanesi sono generalmente abituati alle differenze religiose, sono pragmatici,
credono che la religione non sia un problema, insistono che la nazionalità
albanese sia un'entità multireligiosa e che tale dovrebbe rimanere.
Da qui a
questo Paese l’appellativo di “terra della tolleranza religiosa”. E questo è
sotto gli occhi di tutti. Sicuramente non è sfuggito all’occhio fino di Papa
Francesco che ha scelto la terra delle aquile come primo paese europeo a cui
rendere omaggio con la sua visita (il 21 settembre 2014), in un periodo
storico, quale quello attuale, in cui l’odio e l’intolleranza verso chi
preferisce credere nel Dio dell’amore e non nel Dio del timore, stanno
prendendo sopravvento.
“…L’aquila, raffigurata nella
bandiera del vostro Paese, vi richiami al senso della speranza, a riporre
sempre la vostra fiducia in Dio, che non delude ma è sempre al nostro fianco,
specialmente nei momenti difficili. Oggi le porte dell’Albania si sono riaperte
e sta maturando una stagione di nuovo protagonismo per tutti i membri del
popolo di Dio: ogni battezzato ha un posto e un compito da svolgere nella
Chiesa e nella società. Ognuno si senta chiamato ad impegnarsi generosamente
nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della carità; a rafforzare i
legami della solidarietà per promuovere condizioni di vita più giuste e fraterne
per tutti. Oggi sono venuto per rendervi grazie per la vostra testimonianza e,
anche, sono venuto per incoraggiarvi a far crescere la speranza dentro di voi e
intorno a voi. Non dimenticatevi l’aquila. L’aquila non dimentica il nido, ma
vola alto. Volate alto! Andate su! Sono venuto a coinvolgere le nuove
generazioni; a nutrirvi assiduamente della Parola di Dio aprendo i vostri cuori
a Cristo, a Dio, al Vangelo, all’incontro con Dio, all’incontro fra voi come lo
fate e con il quale incontro date testimonianza a tutta l’Europa…”
(Papa Francesco nell’omelia in piazza
Madre Teresa a Tirana)
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