giovedì 23 giugno 2016

venti ragazzi Albanesi alla scoperta della Sanità' Italiana

Hanno poco più di vent’anni, ma mentre posano dietro la 

bandiera del “Paese delle aquile” sembrano fieri e consapevoli di rappresentare una risorsa, una ricchezza e in qualche modo una scommessa per il futuro dell’Albania.  
Sono i ragazzi  della scuola per infermieri “Elena Gjika” di Elbasan, città del sud dell’Albania, arrivati in Italia domenica 15 luglio per un mese di tirocinio presso l’ospedale di Gallarate, che si concluderà a metà agosto. Quattordici ragazze e cinque ragazzi, studenti del terzo anno, che prima di discutere la tesi di laurea in autunno hanno avuto la possibilità di un soggiorno in Italia per toccare con mano la realtà ospedaliera del nostro Paese: divisi a piccoli gruppi, i tirocinanti avranno modo di frequentare nell’arco di quattro settimane vari reparti del nosocomio gallaratese, dal pronto soccorso alla traumatologia, dalla medicina alla endocrinologia. A rotazione, un gruppetto farà pratica alla Camelot, la struttura sanitaria presso cui il gruppo è anche alloggiato. 
Un’occasione per toccare con mano la realtà italiana, non soloall’interno dell’ospedale, ma anche attraverso le visite che faranno nei fine settimana, guidate dall’instancabile suor Teresa Silvestri, responsabile del gruppo nel corso della permanenza in Italia. «Venire a lavorare in Italia per noi rimane la scelta migliore, quello in cui speriamo», spiega Artur, 23 anni compiuti proprio nel corso di questa prima settimana passata a Gallarate. Una scelta comune a molti diplomati presso la scuola di Elbasan: gli stipendi italiani sono in ogni caso più elevati di quelli della sanità pubblica e privata albanese, ma sulla scelta dell’emigrazione influisce anche una vicinanza alla cultura italiana (a partire dalla lingua) costruita nel corso dei tre anni alla “Elena Gjika”. A questo poi si aggiunge la forte domanda di infermieri in Italia, sia nel settore pubblico che in quello privato: la professione infermieristica è spesso pesante ed impegnativa, con carichi di lavoro ed un impegno fisico significativo, specie quando si ha a che fare con gli anziani, che ormai costituiscono la stragrande maggioranza dei ricoverati negli ospedali e nelle cliniche italiane. E i lavoratori stranieri sono sempre più importanti anche in questo settore. 
Alla metà di agosto gli infermieri rientreranno in Albania: la maggior parte di loro risiede ad Elbasan, la città sede della scuola, e nel distretto omonimo. Il rapporto tra la città albanese e Gallarate si è fatto sempre più forte nel tempo: già tre anni fa un gruppo di studenti del terzo anno aveva frequentato un tirocinio presso il Sant’Antonio Abate, mentre ormai da anni medici dell’ospedale gallaratese si recano – a titolo personale e gratuito – in Albania per tenere corsi nelle più diverse specialità, dall’oncologia all’ortopedia, dalla neurologia all’endocrinologia.
La scuola per infermieri “Elena Gjika” è stata fondata una decina di anni fa dalle suore della carità di S. Giovanna Antida, arrivate ad Elbasan pochi anni dopo la caduta del regime di Enver Hoxha;  da pochi anni si è trasformata da scuola superiore in sede distaccata della Università “Nostra signora del buon consiglio” di Tirana, con un programma didattico seguito anche dall’Università di Tor Vergata e di Bari. Una scelta fondamentale per garantire un perfetto inserimento degli infermieri e delle infermiere in Italia, dove per l’esercizio della professione è richiesto ormai obbligatoriamente un diploma universitario. Un percorso di collaborazione ormai decennale che oggi ha i volti e la storia di Entela, Artur, Matilda, Ilir, Nereida e degli altri studenti. I volti del contributo fondamentale che gli immigrati danno all’economia e alla società italiana, anche in questo settore.
di redazione@varesenews.it
Pubblicato il 28 luglio 2007

giovedì 9 luglio 2015

STORIA DELLE RELIGIONI IN ALBANIA



LA FEDE DELL'ALBANIA TRA STORIA E SOCIETÀ


PREFAZIONE

Spiega un noto scrittore italiano, Marcello Veneziani, che “il significato etimologico della parola religione è legame: un legame non solo con il trascendente, ma anche con gli altri, cioè una comunità improntata all’amor di Dio o al timor di Dio, a seconda dei punti di vista. C’è un nesso strettissimo fra la fede in Dio e la convinzione di avere un comune destino con gli altri uomini. Tutto questo fa parte di una tradizione, di una civiltà.”
E la civiltà del popolo albanese sembra aver appreso a pieno questa giusta e chiara spiegazione sul senso religioso aggiungendo ad esso un elemento che lo nobilita e lo completa: la tolleranza.
Già, perché lo spiccato senso di tolleranza religiosa è la specifica caratteristica della nazione albanese. Originata dalla secolare convivenza di fedi diverse, cristiani cattolici ed ortodossi, musulmani e bektashi, hanno dato vita lungo i secoli ad uno straordinario esempio di coabitazione e di rispetto reciproco, fenomeno senza pari nel continente europeo. Mai i conflitti religiosi sono stati causa di divisioni interne.
È anche vero però che nell’arco della loro storia movimentata gli albanesi sono passati facilmente da una religione all’altra a seconda degli interessi del momento storico. Molto nota poi l’espressione coniata nel XIX secolo da Pashko Vasa: “Feja e shqiptarit eshte shqiptaria”, “La fede dell’albanese è l’albanesità”.
Ma procediamo con calma, osservando dal punto di vista storico, cosa o chi ha contribuito a dare a questa nazione il bel primato di “paese della tolleranza religiosa”.

GLI ILLIRI

Siamo nel I millennio a. C.. La regione albanese è abitata dagli Illiri, un popolo indoeuropeo pagano che praticava il culto del Sole e del Serpente. Anche se la storia ci ha raccontato poco di questo popolo, riguardo alle loro divinità sono rimaste delle leggende nel folklore albanese, tra cui la storia di uomini giganti e forti, di ragazze belle che rubano il cuore degli eroi, di draghi con sette teste, di fanciulle che danzano di notte vicino ai laghi e rapiscono bambini, di demoni e streghe. Le loro feste erano legate alla natura; in particolare si svolgevano durante il cambio delle stagioni, in corrispondenza dei solstizi e degli equinozi. Il 14 marzo era il giorno dedicato al Sole, visto che questo era il giorno che segnava l'inizio della primavera presso le tribù illiriche.
Sono passati tanti millenni da allora eppure ciascuna tradizione religiosa conserva tutt’oggi elementi di mitologia politeista. I cattolici delle regioni settentrionali, ad esempio, ricordano il “giorno del ceppo”, tradizione risalente al culto del fuoco, festeggiato il giorno di Natale. Il giorno della festa della Madre di Dio, che i musulmani celebrano il 23 agosto, coincide con quello della Fata, personaggio mitologico assimilabile alla dea greca Diana. I bektashi professano il culto di Baba Tomorr (Padre Tomorr, montagna dell’Albania centrale) al quale un poeta cristiano ha dedicato un suo libro. Infine, ancora oggi non è raro trovare tra la popolazione, seguaci del culto della natura, come chi festeggia il giorno del monte, chi considera il serpente e la capra divinità protettrici e chi pratica il culto della pietra, dell’acqua, del pane, della strada, dell’ospite, della terra e del cielo.


IL CRISTIANESIMO


La diffusione del Cristianesimo delle regioni albanesi ebbe un’impronta apostolica durante il I secolo d.C.. San Paolo stesso scrisse di aver predicato anche nelle province romane dell'Illiria. Le Sacre Scritture narrano di una sua visita a Durazzo: l'apostolo conobbe l'Albania grazie ai suoi viaggi via terra dalla Giudea a Roma, durante i quali ci si imbarcava a Durazzo per raggiungere la penisola Italiana.
La tradizione attesta inoltre che molti missionari giunsero probabilmente percorrendo la via Egnatia. Con maggiore certezza documenti provano che già nel 58 a Durazzo vi erano sessanta famiglie cristiane e che nel 70 era vescovo Cesare. Il suo successore, sant’Asti, fu condannato a morte dal prefetto Agricola intorno all’anno 100 sotto il regno dell’imperatore Traiano. All’inizio del IV secolo, quando la nuova religione fu ufficialmente riconosciuta da Costantino il Grande, nuclei di comunità cristiane esistevano a Durazzo, Butrinto, Onhezmi (Saranda), Jerikoja, Valona, Apollonia, Amantia, Bylis (Ballsh), Antipatrea (Berat), Skampis (Ebasan), Scodra (Scutari), Albanopolis, Saranda e Lyhnidi (Ocrida). In alcune di queste località sono stati ritrovati all’interno di edifici religiosi mosaici raffiguranti simboli paleocristiani (croce, pesce, cuore). A Butrinto, a Bylis, ad Antigone e a Tepe presso Elbasan furono invece edificate imponenti basiliche a forma rettangolare con pavimenti talvolta impreziositi da mosaici e caratterizzate esternamente da colonnati che fungevano da atrio della chiesa.


IL MEDIOEVO E LO SCISMA D’ORIENTE

In seguito alla divisione dell'Impero Romano in Impero d'Oriente e d'Occidente nel 395, il territorio oggi noto come Albania venne posto sotto la giurisdizione dall'Impero Romano d'Oriente, ma in termini ecclesiastici rimase dipendente da Roma. Solo nel 732 l'imperatore bizantino, Leone l'Isaurico, assoggettò l'area al patriarcato di Costantinopoli. Per secoli l'Albania divenne arena di lotte ecclesiastiche fra Roma e Costantinopoli.                                                       Chiesa ortodossa a Pogradec
Nel 1054, con lo scisma d'Oriente, anche nella regione si riprodusse la divisione tra cattolici e ortodossi di rito bizantino. Molti degli albanesi gheghi che vivevano a nord del fiume Shkumbini (area comprendente l'odierna Durazzo-Apollonia-Elbasan fino a Coriza e l'area di Scutari, la pianura compresa fra il Mare Adriatico e il lago di Scutari) rimasero fedeli alla chiesa romana, mentre gli albanesi toschi che vivevano fra le regioni montuose del sud-est e le regioni sudoccidentali a sud del fiume Shkumbini aderirono alla Chiesa Ortodossa di rito Bizantino.
Fu soprattutto dopo il XIII secolo, nel periodo dell'Impero latino (1204-1474) che il Cattolicesimo si affermò nell'Albania settentrionale, dove ancora oggi è concentrato in prevalenza.


CHIESA CATTOLICA E CHIESA ORTODOSSA


Al fine di inculturarsi nelle tradizioni locali la Chiesa, in particolare quella cattolica, non disprezzò la conoscenza del Kanun di Leke Dukagjini (il più importante codice consuetudinario albanese), tentando di conciliare – non sempre con successo – l’annuncio evangelico e le nozioni d’onore, ospitalità e la parola data. Solitamente dal clero venne favorito l’uso della lingua locale che cominciò ad essere ufficialmente utilizzata a partire dal 1861 nel seminario francescano di Scutari, importante istituzione religiosa. Il lavoro dei francescani, la cui presenza in Albania viene fatta risalire al XIII secolo, fu sempre radicato nella cultura del luogo e la figura del padre Gjiergj Fishta (1871-1940), ritenuta il poeta nazionale, ben ne rappresenta lo spirito. Da parte loro i padri gesuiti, giunti nel Paese nel 1841, non furono da meno nel giocar un ruolo di promozione intellettuale palesato nella rivista Leka, periodico ricco di contenuti patriottici. Nonostante i sempre vivi contrasti tra le due congregazioni gli sforzi furono comuni per assicurare alla chiesa albanese l’appoggio delle Potenze, prima fra tutte l’Austria-Ungheria, protettrice degli interessi cattolici presso la Sublime Porta.
Anche la Chiesa ortodossa, approfittando di un tempo di rinnovamento culturale, contribuì allo sviluppo culturale del Paese. In particolare a Voskopoja presso Corcia, furono aperte nel 1744 alcune importanti scuole di impronta illuminista. Tra queste ricordiamo la Nuova Accademia, centro costituito con il contributo di teologi greci, valacchi ed albanesi presso cui vennero stampati libri di carattere laico e la Bibbia in albanese. L’influenza esercitata dalla Chiesa ortodossa-greca sulla popolazione albanese rimase sempre molto forte fino all’inizio del XX secolo quando gli ortodossi locali iniziarono a lavorare per la nascita di una chiesa autocefala ottenuta dopo alterne vicende solo nel 1937 quando l’arcivescovo Kristofor Kisi ricevette il decreto Tomos con il quale il Patriarcato riconosceva ufficialmente l’autocefalia della nuova chiesa sancendone l’indipendenza dalla sede ecumenica

PERIODO OTTOMANO (1478-1912)

Per lunghi secoli il Papa e il Patriarca si scontrarono allo scopo di imporre la rispettiva egemonia sulla regione fino a che sulla scena apparvero gli ottomani che si impadronirono di Ocrida (1408) e poi di Costantinopoli (1453) il cui Patriarca, Giorgio Scolarios, fu costretto a riconoscere l’autorità del sultano Mehmet II. In cambio i conquistatori si impegnarono a proteggere le chiese ed a rispettare i riti cristiani. Alla fine del XV secolo le uniche terre cristiane balcaniche non ancora sottomesse erano quelle abitate dagli albanesi. Giorgio Castriota Scanderbeg, il difensore e l’atleta del cristianesimo, respinse per venticinque anni gli eserciti ottomani suscitando con le sue gesta le speranze che a questi fossero impedite ulteriori conquiste. In seguito alla sua definitiva sconfitta (1468) il dominio del sultano divenne assoluto sebbene esso si manifestasse, almeno durante i primi secoli, generalmente in modo tollerante. Nonostante ciò una parte della popolazione albanese scelse di convertirsi alla nuova religione.


 In molti casi si trattò un’operazione di facciata poiché i neoconvertiti, pur assumendo nomi musulmani continuavano di fatto a praticare il culto cristiano. Tuttavia, bisogna ricordare inoltre che l'autorità turca spingeva alla conversione sia con una forte tassazione sulle proprietà delle famiglie albanesi non musulmane, sia con la minaccia di arruolare i loro figli nelle campagne militari. In molti dunque accettarono una conversione quasi imposta. Per quanto riguarda la Chiesa ortodossa albanese, durante questo periodo essa fu soggetta al Patriarcato di Costantinopoli; tutte le funzioni religiose e le attività culturali di questa comunità religiosa si svolgevano in greco. Inoltre, per sfuggire all'islamizzazione e conservare la loro identità religiosa, alcuni preferirono diventare cripto-cristiani. Ovvero, essi usavano nomi musulmani e si comportavano, nella loro vita sociale, come tali. Tuttavia, segretamente in famiglia mantenevano le tradizioni ortodosse. Tale fenomeno durò dalla fine del Seicento al tardo Ottocento.

L’ISLAM SUNNITA E I BEKTASHI

       
                                                                                                 
Nonostante l’Islam conobbe dapprincipio una diffusione superficiale, tra il XVIII e il XIX secolo diede comunque vita ad uno sviluppo religioso e culturale. Attraverso l’uso dell’alfabeto arabo si sviluppò la produzione di un genere letterario conosciuto con il nome di letteratura bejte (poesia burlesca costituita da strofe di due versi) rapportabile alla letteratura alhamiada, sorta in Spagna al tempo del califfato. La diffusione della fede islamica tardiva può essere spiegata anche con la necessità degli albesi di differenziarsi nel Kosovo dagli slavi e dai greci nell’Epiro-Çameria poiché questi popoli perseguirono, soprattutto dall’inizio del XIX secolo, ripetuti tentativi di assimilazione della nazione albanese. In seguito all’indipendenza del 1912 ed ai mutamenti politici provocati dalla prima guerra mondiale i musulmani sunniti costituirono nel 1921 l’associazione Allenza nazionale musulmana che due anni dopo si emancipò definitivamente dal califfato di Istanbul eleggendo il Mufti di Tirana a presidente del nuovo organismo. L’Islam albanese fu allora percorso da una vena di riformismo manifestatosi con concrete misure tra cui il divieto di praticare la poligamia e la pubblicazione di traduzioni del Corano in albanese, la parità dei sessi nella vita civile, la proibizione ufficiale dell’uso del velo per le donne, l’uso della lingua albanese nelle moschee e nelle scuole coraniche, le medrese, il cui numero fu sensibilmente ridotto mantenendo solo quelle più importanti.                                                           
                                                     Un dervish bektashi davanti una tece

Ma oltra ai musulmani sunniti, in Albania è presente una minoranza ritenuta eterodossa, appartenente alla setta bektashi. L’origine di questa setta va fatta risalire ad Haxhi (titolo musulmano attribuito ai fedeli recatisi in pellegrinaggio alla Mecca) Bektashi, il quale rielaborò una dottrina mistica proveniente dalla Persia e diffusa dai turcomanni in alcune zone del mar Caspio durante il XI e il XII secolo. I bektashi riconoscono sia Maometto che il quarto califfo Alì, genero e successore del Profeta, nonché fondatore della comunità sciita, l’altra grande confessione islamica. Essi predicano l’uguaglianza tra uomo e donna e acconsentono all’uso di alcol, princìpi condannati dalla fede musulmana. Caratterizzato da una grande tolleranza religiosa, il bektashismo possiede alcuni elementi religiosi comuni anche con il cristianesimo. Nel passato la sua importanza fu considerevole dal momento che ad esso aderiva la quasi totalità dei giannizzeri, la guardia del sultano di origine cristiana. Per le posizioni tolleranti e per il ruolo patriottico avuto da molti suoi seguaci tanti, fra cui il poeta nazionale Naim Frasheri, hanno ritenuto che essa fosse la religione più confacente allo spirito del popolo albanese. Quando Mustafa Kemal Ataturk avviò nel 1995 in Turchia profonde riforme con l’intenzione di dare vita ad uno stato moderno e laico, i bektashi scelsero l’Albania quale sede del Centro Mondiale della Congregazione dei Bektashi.

LA CHIESA EVANGELICA PROTESTANTE

La Chiesa Evangelica Protestante iniziò a diffondersi in Albania nel 1873. Tra i suoi primi membri vi era Gjierasim Qiriazi che aveva compiuto gli studi di teologia in Bulgaria e nel 1883 era rientarto nel suo paese stabilendosi a Corcia. Presso la scuola aperta due anni addietro nella città a partire dal 1890 iniziò a predicare il Vangelo con lo scopo di contribuire al risveglio morale e politico della nazione. Ancora a Corcia insieme a sua sorella Sevastia l’anno seguente istituì una scuola per ragazze, iniziativa duramente osteggiata dal governo ottomano e dal patriarcato di Costantinopoli a causa dell’insegnamento in lingua albanese che vi si praticava. Da ultimo, alla fine del 1892 Qiriazi fondò la comunità della Fraternità Evangelica, editrice della rivista Lettera della Fraternità, a cui aderirono noti personaggi locali.

IL REGNO D’ALBANIA

Al momento dell'indipendenza nel 1912, la lunga occupazione ottomana aveva reso la nazione un Paese a prevalenza musulmana (intorno al 70%), l'unico Stato islamico in Europa. Durante il Regno d'Albania (1928-1939), la religione fu sottoposta al controllo dello Stato. La Costituzione del 1928, all'articolo 5 afferma che "non c'è alcuna religione ufficiale. Tutte le religioni e le fedi sono rispettate; la libertà di culto e il libero esercizio della sua pratica esteriore sono garantiti"
Statistiche risalenti agli anni trenta indicano una popolazione circa al 70% musulmana (sunnita e bektashita), con un 20% di ortodossi e un 10% di cattolici.
In questo periodo tra l'indipendenza e l'avvento del comunismo, la classe dirigente albanese era musulmana, ma essa non interferì con la libertà religiosa del Paese.

LA REPUBBLICA POPOLARE D’ALBANIA

Dopo la Seconda guerra mondiale, il controllo del Paese cadde nelle mani del governo comunista, che combatté duramente le varie comunità religiose. La chiesa cattolica fu particolarmente presa di  mira. La Riforma Agraria del 1945 nazionalizzò la maggior parte delle proprietà degli istituti religiosi; molti religiosi e fedeli furono processati, torturati e giustiziati. L'11 gennaio 1946 l'Atto di Proclamazione della Repubblica popolare albanese sanciva la separazione fra Stato a Chiesa. Sempre nello stesso anno, preti, frati e suore cattolici di nazionalità straniera furono espulsi.
Questo era solo l'inizio della guerra alla religione voluta da Enver Hoxha. Nel gennaio 1949, quasi tre anni dopo l'adozione della prima Costituzione comunista che garantiva la libertà di culto, una legge stabilì che le comunità religiose dovessero ricevere l'approvazione dello Stato, che dovessero essere conformi alle leggi dello Stato e ad i buoni costumi e che tutte le nomine e i regolamenti dovessero essere sottoposte all'approvazione dello Stato; persino le lettere pastorali e le omelie. Alle istituzioni religiose fu proibito di occuparsi dell'istruzione, di opere filantropiche e degli ospedali.
Nel 1967 l'Albania si dichiarò il primo Stato ateo al mondo e tale affermazione fu riportata nella Costituzione del 1976. Infatti, nell'articolo riguardante la religione si leggeva: "Lo Stato non riconosce alcuna religione e appoggia e svolge la propaganda ateista al fine di radicare negli uomini la concezione materialistico-scientifica del mondo". Inoltre, il codice penale del 1977 stabilì pene dai 3 ai 10 anni per "propaganda religiosa e produzione, distribuzione e conservazione di letteratura religiosa".
Molte chiese e moschee furono rase al suolo, altre invece furono chiuse o divennero proprietà dello Stato, che le destinò ad usi civili, come centri culturali o persino magazzini industriali. Inoltre, le nuove generazioni furono educate nell'ateismo. Infine, furono cambiati i nomi delle città e dei luoghi legati in qualche modo alla religione ed anche i nomi di albanesi cristiani che non erano conformi agli "standard politici, ideologici o morali dello Stato".
Dopo la presa del potere nel 1944, il regime comunista non compì alcun censimento sull'affiliazione religiosa della popolazione. Una stima effettuata alla fine della Seconda guerra mondiale registra, su una popolazione all'epoca di 1.180.500 persone, 826.000 musulmani (70%), 212.500 ortodossi (18%) e 142.000 cattolici (12%). I musulmani erano divisi in Sunniti (600.000) e Bektashi (226.000).
Solo negli anni ottanta, la dura campagna antireligiosa si allentò. Il successore di Hoxha, Ramiz Alia, adottò una posizione relativamente più tollerante e definì la religione una "questione privata e familiare". Nel 1988 fu permesso ai religiosi emigrati di tornare in Albania e di officiare le funzioni religiose.
Come ultimo atto, nel dicembre 1990 la libertà di culto fu ufficialmente ripristinata.
Carcere comunista a Scutari


LA RELIGIONE DOPO LA CADUTA DEL COMUNISMO

                                                        

Essendo ormai prossimo il crollo del sistema comunista il 4 novembre 1990 il sacerdote cattolico don Simon Jubani celebrò una messa nella cappella del cimitero di Scutari alla presenza di moltissimi fedeli. Nello stesso giorno, sempre a Scutari, i musulmani poterono pregare per la prima volta dopo molti anni nella moschea dei Piombi.
Quando nel gennaio 1991, dopo circa cinquanta anni, fu permesso al clero straniero di ogni religione di recarsi nuovamente in Albania, essa divenne la meta di molti missionari e gruppi venuti da Stati Uniti, ItaliaRegno UnitoArabia Saudita. Oltre ai pionieri Baha'i, diversi missionari cattolici, ortodossi, protestanti (Evangelici e Battisti in particolare) e islamici, giunsero nel Paese balcanico anche alcune sette religiose, tra cui i Mormoni, gli Avventisti del Settimo giorno, i Testimoni di Geova, ecc. Molti albanesi, precedentemente atei o agnostici, si convertirono ad una delle numerose confessioni religiose.
Ricostruite le strutture ecclesiali, significative furono le visite nell’aprile del 1993 di Papa Giovanni Paolo II e nel novembre del 1999 del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I.

                                                               

La figura di Madre Teresa, (Anjeza Gonxhe Bojaxhiu) è importantissima agli occhi del popolo albanese. Infatti, albanese della diaspora, di lontana origine scutarina, religiosa e beata, di fede cattolica, fondò la congregazione delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro tra le vittime della povertà di Calcutta l’ha resa una delle persone più famose al mondo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 ottobre 2003 è stata proclamata beata da Giovanni Paolo II.  
La Costituzione del 1998, all'articolo 10, afferma la laicità dello Stato e sancisce l'uguaglianza dei vari culti. Inoltre l'articolo 3 pone la coesistenza religiosa tra i principi fondanti dello Stato.
LA RELIGIONE IN ALBANIA OGGIGIORNO
Nel 2011, in Albania, il nuovo censimento ha fornito dati più attuali sulle identità religiose del paese. Le nuove cifre sono state raccontate in un'intervista da Cecilie Endresen, una studiosa di Storia delle Religioni e dei Balcani. La sua tesi di dottorato “Is the Albanian’s religion really «Albanianism»? Religion and nation according to Muslim and Christian leaders in Albania”, è stata pubblicata da Harrassowitz nel 2013.
Scrive la Endresen che nel censimento 2011 si assiste a cambiamenti radicali delle cifre ufficiali precedenti in tema di appartenenza religiosa infatti il 57,12% si dichiara musulmano, il 2,52% bektashi, il 10,11% cattolico, il 6,8% ortodosso e lo 0,11% cristiano evangelico  (nel 2001 il 70% si dichiarava musulmano, il 20% ortodosso e il 10% cattolico). Queste trasformazioni sono avvenute a causa di mutamenti demografici, emigrazione e tassi di natalità più alti in alcune regioni.
Sorprendentemente l'Albania ha meno persone che affermano di non credere in Dio che molti altri Stati in Europa. Ci saremmo aspettati un numero molto maggiore di atei, data la storia di ateismo forzato legato al periodo comunista, ma forse il risultato è proprio una reazione a questo. In ogni caso viene sfatata una delle principali argomentazioni di un certo nazionalismo, che vorrebbe gli albanesi atei e indifferenti alle diverse appartenenze religiose. Il dato sull'ateismo era tra l'altro già emerso anche in altre rilevazioni del Balkan Monitor Gallup e dello stesso istituto IPSOS.

CONCLUSIONI

Il rapporto degli albanesi con l'appartenenza religiosa
Innanzitutto vi è una specie di molto radicata paranoia nazionale sul fatto che la religione possa diventare un fattore di divisione. Ma questa paura sembra smentita nella pratica: da un punto di vista sociale la maggior parte degli albanesi sembra piuttosto rilassato e cosmopolita in merito all'appartenenza religiosa: gli albanesi sono generalmente abituati alle differenze religiose, sono pragmatici, credono che la religione non sia un problema, insistono che la nazionalità albanese sia un'entità multireligiosa e che tale dovrebbe rimanere.
Da qui a questo Paese l’appellativo di “terra della tolleranza religiosa”. E questo è sotto gli occhi di tutti. Sicuramente non è sfuggito all’occhio fino di Papa Francesco che ha scelto la terra delle aquile come primo paese europeo a cui rendere omaggio con la sua visita (il 21 settembre 2014), in un periodo storico, quale quello attuale, in cui l’odio e l’intolleranza verso chi preferisce credere nel Dio dell’amore e non nel Dio del timore, stanno prendendo sopravvento.

“…L’aquila, raffigurata nella bandiera del vostro Paese, vi richiami al senso della speranza, a riporre sempre la vostra fiducia in Dio, che non delude ma è sempre al nostro fianco, specialmente nei momenti difficili. Oggi le porte dell’Albania si sono riaperte e sta maturando una stagione di nuovo protagonismo per tutti i membri del popolo di Dio: ogni battezzato ha un posto e un compito da svolgere nella Chiesa e nella società. Ognuno si senta chiamato ad impegnarsi generosamente nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della carità; a rafforzare i legami della solidarietà per promuovere condizioni di vita più giuste e fraterne per tutti. Oggi sono venuto per rendervi grazie per la vostra testimonianza e, anche, sono venuto per incoraggiarvi a far crescere la speranza dentro di voi e intorno a voi. Non dimenticatevi l’aquila. L’aquila non dimentica il nido, ma vola alto. Volate alto! Andate su! Sono venuto a coinvolgere le nuove generazioni; a nutrirvi assiduamente della Parola di Dio aprendo i vostri cuori a Cristo, a Dio, al Vangelo, all’incontro con Dio, all’incontro fra voi come lo fate e con il quale incontro date testimonianza a tutta l’Europa…”
(Papa Francesco nell’omelia in piazza Madre Teresa a Tirana)